CAPO IV. Del feudalesimo nel regno di Napoli
SOMMARIO - I Longobardi non concessero mai jure beneficii, e però non ebbero feudi - Questi, fra noi, furono introdotti dai Normanni - Ordinamento di Ruggiero - Conquista Franca - Conquista Longobarda - I feudi napoletani serbarono sempre il carattere della dotazione della corona, cioè di beni nazionali dati in usufrutto al re, e si dissero demanii - Regalie - Come furono intese e diffinite dai nostri giuristi.
Il giudicare è di gran momento, massime nella storia, dove per poco che l'uomo si lasci vincere alla passione o ad altro, falsa tutto un periodo, un'epoca, un popolo. Pei Longobardi, ad esempio, tu non sai da quale storico tu debba stare. Questi te li dice buoni, quegli te li dice tristi: a chi credere? Alla propria coscienza. Verificare, e credere alla propria coscienza. Così ho fatto io, e, bene o male, son venuto nella persuasione, che se presso di noi napoletani il feudalesimo fu mite, e sino dal suo nascere tendè ad accostarsi al dritto civile, questo si dee in parte ai Longobardi, i quali permisero lo svolgimento delle idee civili connaturate all'indole degli abitanti; e meno barbari dei Franchi, e in una provincia più civile e più romana delle Gallie, non ebbero mai, come affermano gli storici (1), nè beneficii, nè feudi.
(1) Vedi tra gli altri, Pecchia. Stor. Civ. Diss. II. Vol. II.
Eglino divisero le terre a loro soggette in ducati, ciascun ducato, in distretti, ciascun distretto in centurie o decurie. Del ducato era capo civile e militare il Duca; del distretto era capo un suo compagno d'armi, detto Comite; della centuria o decuria era capo economico e dicastico lo sculdasio.
Il Ducato di Benevento, che salvò la Puglia, parte della Calabria e il littorale da Amalfi a Gaeta, comprendea tutto il resto del territorio che formò il Regno di Napoli, era diviso in varii distretti, il cui reggimento fu dato ai Gastaldi, con la ricompensa del frutto di un podere, di cui potevano disporre a loro talento. Di conti, in principio, si potrebbe dir che non ve ne furono; e quantunque dopo la divisione del Ducato tra i principi di Benevento, Salerno e Capua, si fosse introdotto l'uso di concedere città, castri, castelli, villaggi, a vita o in perpetuo, pure ciò fu sempre in libero allodio. Tanto che, tra per la soverchia ampiezza della concessione, e la mancanza di una forza moderatrice, questi conti crebbero si in potere, da simigliare a dinasti. E poichè ad essi si furono aggiunti i principati de' primi Normanni, il governo di queste provincie fu in mano di siffatti regoli, sino all'anno 1139; quando Ruggiero vinto Innocenzo IV, e segnata la pace, ne fu riconosciuto Sovrano. Con lui sorse quella monarchia vigorosa e civile, che sebbene priva di quel cemento che viene dalla libertà dei popoli, pure dette agli altri Stati esempio di civile ordinamento. Da lui furono iniziate le Constitutiones Regni Siculi, tanto efficaci alla costruzione di una legislazione nazionale. L'indirizzo di questo monumento legislativo fu la riedificazione dello Stato dal seno della barbarie; perocchè non solo vi fu ravvivato il principio romano del l'autorità del Principe come espressione dell'unità dello Stato, abolendosi le giustizie feudali ed ecclesiastiche, mercè bajuli e giustizieri, ma tutto fu ricondotto alla fonte romana (1).
(1) Pessina. Diritto Penale.
Soggiogati i pretesi dinasti, abbattute le fortificazioni, dichiarato delitto di maestà il sindacare la condotta del re, nel 1140 egli tenne un solenne parlamento in Ariano, dove diè diverse disposizioni pel buon andamento del suo Stato, comprese nella costituzione – Scire volumus – Obbligo tutti i possessori di feudi e di regalie ad esibire le loro commessioni per essere confermati; proibì l'alienazione, e solo permise ai baroni di poter su di essi costituire il dotario delle mogli e le doti alle figlie; tolse loro ogni giurisdizione usurpata; fe osservare le consuetudini feudali indrodotte dal Duca Roberto, nonchè quelle in uso presso
le altre nazioni, e specie in Lombardia; diè licenza di subinfeudare, ma sempre con permesso e approvazione regia; fe ridurre in iscritto tutte le costumanze feudali raccolte nei libri detti Defettarj, che furono rubati o incendiati a Palermo in sul principio del regno di Guglielmo I; istituì per tutto il reame il cedolario, in cui era descritto lo stato di tutte le proprietà pubbliche.
Tale, presso di noi napoletani, il primo ordinamento del feudalesimo; il quale, dal bel principio sottoposto ad un potere forte e bene organizzato, non potè sottrarsene mai più.
Il re Ruggiero, sapiens, providus, magnus consilio, secondo lo dice Romoaldo Salernitano, volle fondare una monarchia salda e duratura, che non avesse ad essere indebolita dalle mene e dai contrasti dei feudatarii, come altrove, e massime in Francia. Onde ammaestrato dalla sapienza altrui, trasse a se tutte le regalie e i fondi abusivamente prima occupati, e con generale editto proibì ad ognuno di possederne, senza sua speciale concessione. E le sue leggi furono confermate da Federico II.
Di qui, due conseguenze. La prima, che essendo la Monarchia nata, per cosi dire, adulta, e la feudalità col freno tra le ganasce non potè aver luogo la regola, non v'ha terra senza signore. Gli abitanti e i possessori di allodi, pressocchè affatto liberi, erano abbastanza garentiti dalle leggi, da esser costretti ad offrire ai baroni se e le cose loro, per riaverle poi a titolo di feudi oblati. La seconda, che i nostri feudi si stimarono sempre proprietà della nazione, perchè derivando essi dalla sola concessione del re, questi che cosa potea concedere?
I Franchi, poiché ebbero occupata la Gallia, usando di quel diritto internazionale che abbiamo detto innanzi, ne divisero tutto il territorio in tre parti, di cui una assegnarono ai loro commilitoni a titolo di beneficium, un'altra riserbarono a dote della corona, dos coronde, la terza lasciarono agli abitanti. La prima costituì i feudi. La seconda, formata di diritti e di latifondi, si apparteneva al re, quanto all'uso, alla nazione, quanto alla proprietà, e si disse domanium (1), per essere il re il dominus per eccellenza: l'uso era jure principatus, e la proprietà non poteva in alcun modo alienarsi, senza il consenso della nazione. L'ultima parte, col crescere del feudalesimo, fu assorbita da esso, e disparve interamente. Onde il principio: nessuno può possedere allodio. E nessuno possedette proprietà libera, neanche i Comuni, perchè ella non poteva esistere, dove non esisteva, che il feudo.
I Longobardi, occupata l'Italia, pur usando del medesimo diritto de' Franchi, furono più miti: e i privati e i Comuni ebbero lor proprietà sempre libere. Il principe avea anche la sua dos coronae, consistente in corti, boschi, poderi, che gli davano in parte il modo di soddisfare i bisogni dello Stato, col fittarli, o con l'esigerne il terratico, l'escatico, il glandatico, l'erbatico, e via; e in alcuni diritti.
(1) Domanium, voce nuova e barbarica, sconosciuta ai Latini. Alcuni la fanno derivare da doma, domatis, voce anche barbara, che dinotava la casa o corte regia. Il Turboli, nell'opera citata innanzi la ricava da dominus, perchè il re era il dominus per eccellenza.
Il Rapolla, nel Comm. de jure Reg. Neap., dice: Olimi apud Gallos, ut habet Cancius in gloss., Domanium dicebatur dominium; unde domanium quasi per excellentia denotabat rem, quae erat immediate in dominio Regis, ad differentiam rei feudalis. Et ob eandem rationem, in legibus Regni, res demanialis intelligitur, vel quae ad Regem pertinet, vel quae est propria Universitatis, distincta a rebus ad feudum pertinentibus.
Di siffatti territorii, cresciuti allora moltissimo, per le scorrerie, le guerre, e i mille mali che travagliarono queste provincie meridionali, e di siffatti diritti, consistenti nei proventi del mare, delle acque e foreste e dei pascoli, delle tasse su l'industria delle miniere, delle multe, delle privative dei diritti di caccia, e dei sussidi e collette, il cui complesso formava la, cosi detta, Dogana, s'impadronirono i Normanni, e li concessero in feudo (1).
Sulle proprietà private, che essi riconobbero e rispettarono, non esercitarono altro, che quel dominio eminente, il quale non racchiude idea di dominio propriamente, ma d'impero, giusta le parole di Seneca: Omnia Rex imperio possidet; singuli dominio (2).
Di qui derivò, che i nostri feudi conservarono lo stesso carattere che la dos coronae, cioè di beni nazionali, di cui il Principe era usufruttuario; e che quando quella prese il nome di demanio, eziandio essi presero il nome di demanii. Onde la diffinizione del feudo data dal Guarani: Pubblici patrimonii delibatio per principem immediate, autmediate facta. Carattere che distinse i feudi napoletani da quelli di tutte le altre nazioni d'Europa, e fu causa di grandi conseguenze civili, in ordine alle proprietà comunali, e ai diritti dei cittadini, come vedremo appresso.
(1) Masci. Esame polit. leg. dei dirit, e prerog. dei Bar. del reg.napol. Di tutti i vasti territorj del nostro Regno, già deserti per mancanza di popolazione, vale a dire di tutti i beni vacanti se ne impadronirono i Normanni come Sovrani. Ma ne fecero essi l'uso che conveniva? forse le circostanze di allora li rendono scusabili. Tanti immensi territorj stavano incolti per difetto di gente; sicchè non ritraendo il pubblico Erario emolumento alcuno, era perciò espediente rinvenire dei mezzi per cavare un lucro qualunque si fosse. All'incontro in quei tempi la principal cura dei Sovrani era la guerra, ed al mantenimento della milizia riduceansi presso a poco i bisogni dello Stato; ed essendo molti Potenti, che con le loro forze pur troppo conferivano alla sussistenza o insussistenza de' Principi, si riputò gran vantaggio d'averli ligi, col solo darsi loro detti territori, che per altro giacevano inutili.
(2) Tapia. Const. jur. Reg. neap. - De Jure fisci - Bona subditorum burgensatica libera in principis jurisdictione consistunt, ratione dominii generalis, quod in bonis subditorum habens generale dominium est jurisdictio; quia cum sit summus magistratus jus decernendi, et submovendi habet in bonis ipsis.
Nota quod aliud sonat jus generalis dominii, et aliud jus communis dominii. Generalis dominii nihil proprium vendicatur, sed sola quaedam jurisdictio et protectio, sed jure communis dominii dicitur esse quid proprium, donec contrarium appareat.
I quali diritti dei cittadini, jura civitatis, tanto rispettati dai Romani, furono quasi in tutto sconosciuti nel medio evo, quando l'Imperatore, dominus dominantium , riassumeva in se lo Stato, i diritti della società civile, i jura imperii, col titolo di regali o regalie; che, o dall'essere inerenti al carattere della sovranità, o dal riguardare la dotazione della corona si dissero regalie maggiori, o regalie minori, e insieme si diffinirono, jura imperii summo imperatori, seu supremo principi, ejusque fisco in signum supremae praeeminentiae, in immensi laboris praemia, et publicae utilitatis commoda, ad imperii dignitatem et majestatem conservandam tendentia, debita, data, concessa (1).
La loro dottrina fu la base del dritto pubblico e l'argomento de' più chiari giuristi sino alla rivoluzione francese; e quello Stato fu innanzi agli altri per civiltà dove ella s'intese in modo più conforme al diritto naturale, come nel Regno di Napoli.
Qui il diritto feudale barbarico fu modificato dalle idee del diritto romano, che si serbarono, senza dubbio, più vive che altrove; e da quelle del diritto canonico. Anzi, se a ciò si aggiunge la grande influenza che ebbe su i nostri giureconsulti il trattato De Regimine Principis, in cui giusta le idee cristiane, l'autorità e le regalie si considerano conferite al principe non per altro, che per il bene del popolo, s'intenderà di leggieri, come la nostra giurisprudenza sia stata cosi pregna di equità, e come il nostro Montano abbia definito le regalie, certi diritti precipui dati al principe, perchè possa provvedere alla tutela ed al benessere de' popoli a lui soggetti: Singulis regibus in propriis regnis praescribenda sunt regalia, idest quaedam jura praecipua, quibus tueri et conservari possint populos sibi subditos.
Diffinizione, che per se sola basta a mostrare quanto noi soprastessimo agli altri popoli, e quanto facessimo conto dei jura civitatis, che favoriti da siffatto modo di concepire le regalie, dettero al nostro diritto un carattere tutto suo, massime circa la proprietà pubblica (2). E ciò al capo che segue.
(1) Rosenthal. Tract. jur. feudal. Cap. V . concl. 1.2
(2) Cenni. Op. cit.