CAPO IX. La rivoluzione Francese

SOMMARIO - Ritrosia della nobiltà francese alle riforme - Stato della Francia innanzi la rivoluzione - Diritti proibitivi e privilegi - Scoppio della rlvoluzione - Abolizione del reggimento feudale la notte del quattro agosto - Quest'abolizione, prima, sarebbe stata o impossibile o esiziale agli Stati - Lentezza onde furono restituiti i jura civitatis ai cittadini - Ragione di ciò, e ragione per cui tra noi fu il contrario

Correva l'anno 1776, e Turgot era ministro di Luigi XVI. Uomo di vasta mente e di profonda dottrina, sentì il bisogno di riformare lo Stato, e diè al sig. Boncerf la cura di scrivere sugl'inconvenienti de' diritti feudali. Il Boncerf scrisse: ma si crederebbe? Il libro fu fatto bruciare dal carnefice, e il ministro fu licenziato. Quest'atto manifestò aperto dove fosse la piaga: l'aristocrazia della nobiltà e della magistratura ereditaria erano alleate contro le riforme (1). Ma le riforme savie ed opportune, come, concesse, salvano gli Stati, cosi, non concesse, li ruinano.

(1) La Ferrière - Ess. sur l'hist. du droit fran. Tom . 1.

Il mondo e gli uomini vanno col tempo; le istituzioni hanno a variare secondo i bisogni, di cui essi non sono che l'espressione prima spontanea, per mezzo della consuetudine, e poi riflessa, per mezzo della legge scritta; e guai a quel governo che, a dir cosi, vuol rimanere vecchio, in mezzo a popolo nuovo: la sua perdita è inevitabile, perché la pazienza cessa, lo sdegno compresso ribolle, e quel che non si è potuto per diritto, si cerca ottenere per forza. Sono tanti gli esempii che di ciò a noi offre la storia, che può tenersi come verità inconcussa (1). 

Che cosa era la Francia innanzi al 1789? Era un grandissimo feudo, di cui primo signore il re, e poi i nobili e gli ecclesiastici. La massima, non v'ha terra senza signore, non era venuta mai meno; e i tre quarti dell'intero territorio si possedeano da soli circa 350000 individui, 100000 nobili, cioè, e 250000 chierici. Siffatto agglomeramento della proprietà affievoliva, o meglio, intisichiva la proprietà pubblica, e traeva seco innumerevoli privilegi, e odiosissimi diritti, quali il diritto di banalitè, di caccia, di manomorta, di pesca, e mille altri, che, per amor di brevità, qui non mette bene il ridire (2). Il governo, arbitrario, più che dispotico; il parlamento, privo di ogni potere, ridotto alla sommessione ed al silenzio; le ingiustizie, gli abusi da per tutto enormi; ogni libertà bandita; la pubblica amministrazione e la finanza in pessimo stato. 

(1) Basti il por mente alle vicende ed alle condizioni attuali della Chiesa cattolica apostolica romana.
(2) Il diritto di banalitè consisteva nella proibizione di fare alcune cose in modo diverso da quello ordinato, sotto le pene comminate dalla legge, dalla convenzione, o dalla consuetudine. Si applicava massime ai mulini, ai forni, ai frantoi feudali, di cui solo i vassalli erano costretti ad usare. Il diritto di caccia era una prerogativa dei baroni: nessun vassallo poteva cacciare nelle terre del feudo, con tutto che l'agricoltura ne risentisse grave danno, Il diritto di manomorta, il più umiliante e violento, facea tenere i vassalli parte delle terre, li privava spesso della facoltà di disporre dei loro beni, e li abbandonava, come cosa, al loro feudatario in qualunque luogo avessero preso stanza. Il diritto di pedaggio consisteva nell'esigere un tanto da chi passava per le vie pubbliche del feudo, ma non per pagare la guardia che le tenesse libere dai ladri, come tra noi, si perché si stimava le vie pubbliche appartenere anche al padrone del feudo.

E se a ciò si aggiunge, che al popolo era dato solo il soffrire, e ai nobili e al Clero il godere, che quello pagava le tasse (1), e questi godeano gl'impieghi, che quello languiva nella miseria, e questi nuotavano nell'oro, s'intenderà di leggieri il grido di Mirabeau: Ah! certes, nous avons donné un grand exemple de patience; e la guerra che la Francia moveva ai privilegiati ed ai privilegi, guerre aux privilegiés et aux priviléges. Guerra terribile, feroce, prima con gli scritti, poi con la rivoluzione. E non ci volea meno di una rivoluzione a riacquistare quei diritti, che sortiti da natura, la forza avea calpestati, le leggi positive negati, e una insana giurisprudenza difendeva e manteneva. Guerra terribile, feroce che ebbe sua piena vittoria la notte del 4 agosto 1789, quando in un momento d'indicibile entusiasmo si abbatté l'opera de secoli, si compi il grande lavorio della rigenerazione dell'uomo e dello Stato, si distrusse titoli, nobiltà, privilegi, ogni preminenza dell'uno sull'altro, e si affermò l'uguaglianza di tutti.

Atto generoso, magnanimo, memorabile, che dava alla rivoluzione carattere sociale, più che politico, e la rendeva più vasta e comprensiva della Riforma, e paragonabile solo a quella del Cristianesimo. Perché, come questo insorse contro tutto ciò che era contrario ai diritti dell'uomo, e come questo fu il risultato di un lungo apparecchio razionale e storico; ond'ebbe un significato universale. Apparecchio necessario, indispensabile, senza cui essa non potea essere. Sbarbicare il feudalismo, e convertire il feudo in allodio, come fece la rivoluzione francese, per addietro sarebbe stato o esiziale agli Stati, o impossibile. Esiziale, se il feudo quale era e senza detrarne alcuna parte, si fosse mutato in allodio. 

(1) Quanto ai tributi, in Francia solea dirsi: I nobili pagano colla spada e col sangue, i cherici, con le preghiere, e il popolo, col danaro sonante.
- Bel trovato! Queste parole non poterono uscir la prima volta che dalla bocca di un chierico, i quali eran quelli che contribuivano meno. Sempre cosi furba la Santa Bottega!

Imperocchè le regalie che vi si contenevano si sarebbero disgiunte dallo Stato dal quale sono inseparabili, e convertite in proprietà privata. Impossibile, perché a compiere un tanto rivolgimento sociale bisognava distinguere in prima nel feudo stesso la regalia dalla proprietà, la cosa pubblica dalla privata, ed anche in questa la parte dei singoli cittadini da quella del feudatario. Insomma convenia rendere allo Stato ciò che era dello Stato, ai singoli cittadini ciò che possedeano innanzi l'ordinamento feudale, e lasciare al barone solamente quello, che non essendo ancora occupato al tempo dell'investitura, il Sovrano avea potuto concedere (1). E per un'opera tale richiedeasi la maturità de' tempi, la civiltà del secolo XVIII e XIX, e lo sforzo della rivoluzione francese (2). La quale, mentre rovesciò con si irresistibile impeto il feudalesimo, restituì, e ciò fa maraviglia, solo a poco a poco i jura civitatis ai cittadini. I principii del diritto feudale erano tanto connaturati a quella società, che la stessa rivoluzione non potea non riconoscere i feudatarii legittimamente investiti di molti gravissimi diritti, inconciliabili col jus civitatis et libertatis, i quali furono abrogati solo dietro compenso. È però, che alcuno ha detto, tutte le leggi francesi di quel tempo, circa i jura civitatis, non valere le nostre prammatiche de Salario e de Baronibus

(1) Ecco, come si avvera quella sentenza storica, che il mondo cammina per grandi reazioni. Un'età afferma un principio, e vive aggirandosi intorno ad esso; ma come il giro è compiuto, l'età seguente, nega quel principio, gira in direzione opposta, pare che distrugga tutto il passato, ma poi si vede che essa afferma quel principio medesimo, ritenendone la parte eterna e vitale, e distruggendone il resto. Settembrini.
(2 ) Savarese - Loc. cit.

E chi consideri come in Francia il sistema feudale assorbiva tutto in se, e si ergeva come un colosso pieno di forza, cui nessun mezzo legale potea conquidere, e come fu d'uopo pigliarlo d'assalto, e lottare corpo a corpo con lui, troverà naturalissimo non pure il fatto osservato, ma eziandio l'altro della pacatezza, onde segui l'abolizione della feudalità nel Regno di Napoli, dove il foro e la giurisprudenza, difendendo e sostenendo i diritti dell'uomo e del cittadino, che informavano tutto il nostro ambiente civile, aveano già lavorato più secoli ad abbatterlo; ed aveano maturato quell'avvenimento, che successo, riusci cosa ordinaria ed attesa pressocchè da ognuno (1).

Ma la rivoluzione abbreviò ed agevolò il cammino; e questo non fu poco; perocchè gl'interessi quanto più sono intensi ed estesi, tanto meno si svelgono senza forza; e per nostra malaventura vediamo ancora oggi esisterne degli avanzi.

(1) All'opera della giurisprudenza e del foro però, negli ultimi tempi s'era unita anche l'opera efficace del governo. E degna di essere ricordata con lode è la perseveranza, con cui il ministro Tanucci e il suo re miravano all'abbassamento della feudalità, deprimendo il potere soverchiante dei baroni, rivocandone molte giurisdizioni; diminuendo le torme dei loro armigeri, prescrivendo regole a punirli, scemando il mero e misto impero che era strumento precipuo della tirannide baronale.
Cosi, dice il Moisè nell'opera citata, le provincie respirarono, il popolo prosperava, i costumi s'ingentilivano, le leggi miglioravano, nutrivasi in tutti speranza di tempi più avventurosi. Credo bene fare eziandio osservare, come poiché l'Italia, dopo la pace di Aquisgrana, ebbe riacquistata la quiete di cui avea perduto la memoria, non pochi dei suoi principi, qual più, qual meno, spintivi dall'amore dei sudditi, dal bisogno che apertamente manifestavasi nei popoli, dai suggerimenti di uomini zelanti del pubblico bene, o trascinativi da quel progressivo movimento dell'umanità contro il quale è vano resistere, parvero cospirare nel bello studio di farla felice.