САРО Х. La divisione de' demanii e la fine degli usi civici.

SOMARIO - Diffusione della rivoluzione - Legge del 2 agosto 1806 che abolisce la feudalità - Legge del 1 settembre 1806 che ordina la divisione dei demanii - Benefizii di essa - Provvedimenti del 1771, 1774 e 1775 - Perché rimasero ineseguiti e privi di effetti - Commissione feudale - I Commessarii - Massime della Commissione da loro accettate - Norme stabilite a la partizione - Falsa opinione di coloro, che stimando gli usi civici atti facoltativi e di tollevanza, son contrarii al compenso dato ai cittadini pel loro godimento - Lentezza dell'opera - I Commessarii nuovamente istituiti nel 1861 - Perché sinora non si sieno avuti dalla divisione i vantaggi desiderati - Ministeriale zurlo - Necessità di mandare a termine l'operazione.

La rivoluzione dell'ottantanove scoppiò in Francia, perché ivi la resistenza era maggiore; ma ella rispondeva a bisogni e e desiderii universali, e si diffuse colla rapidità del fulmine. Fu un grido di riscossa, levato dagli oppressi contro gli oppressori; fu uno sforzo supremo, il quale se non fosse stato, oggi avremmo una storia di sventure, a vece che di glorie.

Si diffuse, dunque, con la rapidità del fulmine, e poiché le province napoletane furono occupate, la legge del 2 agosto 1806 vi abolì la feudalità con tutte le sue attribuzioni.

Via, quindi, ogni giurisdizione baronale, via angarie, per angarie, opere e prestazioni personali; via diritti proibitivi, tutto insomma che ricordasse un passato di amarezze e di lacrime. Come legge fondamentale, era troppo giusto ch'ella avesse prima provveduto a ciò che per secoli avea più direttamente insultato l'umana natura e la dignità dell'uomo, abolendo la servitù personale, e poi avesse regolato quelle servitù reali, che non dalla volontà delle parti, o dalla situazione naturale dei luoghi, o per l'utilità reciproca de' fondi limitrofi, o per l'utilità pubblica erano state costituite, ma dalla sola prepotenza e dalla forza bruta dei signori: quasi che gli uomini dovessero considerarsi gli uni servi degli altri, e, con loro, serve e terre che possedevano (1)

L'art. 15 di essa legge prescriveva: i demanii appartenenti agli aboliti feudi restare agli attuali possessori. Le popolazioni conservare gli usi civici e tutti i diritti che allora possedevano sui medesimi, fino a quando con altra legge non ne fosse ordinata e regolata la divisione, proporzionata al dominio e dritti rispettivi. Espressamente proibita qualunque novità di fatto. 

Tale legge fu quella del 1 settembre 1806, che con l'art. 1 ordinava la ripartizione dei demanii di qualsivoglia natura, feudali, ecclesiastici, comunali, promiscui (2), a fine di essere posseduti come proprietà libere di coloro, cui fossero toccati; e con l'art. 4, la quotizzazione di essi fra i cittadini, col peso di un annuo canone proporzionato al giusto valore delle terre; riserbando, con l'art. 10 tutte le eccezioni e disposizioni per le terre boscose, montagnose, e in riva ai fiumi.

Cosi quella immensa estensione di territorio, formata da queste diverse specie di demanii, tolta alla circolazione ed all'attività privata, e dannata a sterilire, fu rimessa in commercio; e ai quotisti e a tutti i possessori delle terre cadute in divisione fu data la pienezza del dominio e la proprietà di quella zolla di terra, che le nuove leggi loro attribuivano nella ripartizione, per renderli più attaccati al suolo, alla patria e ai doveri di cittadino, e di suddito.

(1) Marini. Loc. cit.
(2) Fuori di questa origine non v'ha demanii.

Quando si dice, a titolo di proprietà s'intende benissimo animo caeteros excludendi, e innanzi abbiam veduto, come, con voce barbarica, ma energica, difese furon dette le proprietà chiuse ad ogni consorzio, difensae, side prohibitae caeteris.

Concedendo ad essi il diritto di pienamente disporre della cosa propria, di sottrarla all'altrui uso e possesso, e migliorarla, di lasciarla in retaggio alla prole, si dovean di sicuro rendere più vantaggiose le condizioni economiche dell' individuo e della società.

Difatto, quale interesse poteano avere i cittadini che esercitavano sui demanii gli usi civici, se non quello di trarne il maggior pro possibile? di guisa che si il pascolare, si il legnare, e si il coltivare, dove questo era lor dato, pur di tornare loro a qualche utile, che importava del resto, che tornassero anche a gran danno dei demanii medesimi? Essi non si appartenevano a nessuno particolarmente, e però nessuno potea avere ad essi quell'amore, che alla cosa propria. E quanto peggiore il loro stato, tanto minori i frutti ed i vantaggi. Di che il crescere della miseria, e il cadere dell'agricoltura. E ciò, senza guardare ai mille abusi che vincolavano e intisichivano le proprietà private.

Simili inconvenienti erano stati già avvertiti, e ad essi erano intesi a provvedere appunto i dispacci del 19 agosto 1771, 17 e 23 dicembre 1774, e 18 febbraio 1775. Ma il predominio del potere feudale non era spento ancora, ed in mezzo a tante differenti legislazioni che si combattevano a vicenda, rimaneva sempre trionfante il dominio delle leggi romane, che Carlo e Ferdinando Borbone tentarono invano di modificare, per farle piegare ai bisogni dell'età, e agl'interessi della nazione da loro governata.

Il dotto giureconsulto Giuseppe Cirillo ebbe l'ordine di compilare una riforma, ma essa rimase priva di sanzione, contrariata dal potere de' feudi, dai privilegi delle città, ed anche da quel terzo stato, che composto di grandi che scendevano, e di popolani che per industria e virtù si estollevano, nel passaggio della monarchia da feudale ad assoluta, mentre per tutta Europa era sostegno alle nuove istituzioni, ed ausiliaria del potere sovrano, presso noi, ereditando le perdite dei due ceti sottoposti alle riforme, era divenuto istrumento di oppressione, sorretto dalla dialettica e dalla cavillazione forense, contro le benigne intenzioni del governo. In tal modo i salutari provvedimenti del 1771 al 1775 per liberare le terre dal giogo feudale e dalle manimorte e restituirle al commercio, restarono ineseguiti e privi di effetti; e quantunque lo spirito filosofico progredisse, i filosofi fossero intesi, e i principi mostrassero buona volontà e zelo a favorire gl'interessi de' loro popoli, pure quelle riforme, tentate da mano tremante e debole, abortirono, e per esser davvero si dovė attendere la forza delle armi straniere. Da una pubblica calamità sorse rigoglioso l'edifizio di quelle leggi dimandate dai tempi e dai dotti, attese da pochi, ed applaudite dall'universale, che diedero nuova sembianza agli uomini ed alle cose dell'età nostra (1).

Un decreto del giorno 11 novembre 1807 istituiva una Commissione, che giudicasse di tutte le cause introdotte innanzi il 2 agosto 1806 fra le Università e i baroni, di qualunque natura fossero state, e non ancora diffinite. Essa, in ogni fine di mese, avea a render conto delle sue operazioni. Composta dei più valenti giureconsulti del tempo, Dragonetti, Winspeare, Giuseppe Raffaelli, Domenico Franchini, e Coco, entrò di gran lunga innanzi al Comité féodal francese, e le sue massime sono rimaste esempio e di sapienza e di libertà e di prudenza civile. Sicché Ferdinando I, che con rescritto del 19 settembre 1815 ne ordinava una revisione, non vi trovò nulla a riformare, anzi con rescritto 20 settembre 1817 le approvava; e Ferdinando II, con decreto del 26 settembre 1836, dichiarava ufficiale la collezione delle sentenze di essa Commissione feudale, considerando, che i Comuni ne riportano positivo vantaggio, tanto in riguardo alla storia riunita delle contestazioni avvenute sui propri diritti che dei risultamenti sostenuti e garentiti dai giudicati.

(1) Marini - Ivi.

L'opera di lei durò dagli 11 novembre 1807 al 20 agosto 1810. 

A dar pronta esatta e vigorosa esecuzione alle leggi abolitive della feudalità e sulla ripartizione dei demanii, bisognava scegliere magistrati di provata probità e intelligenza, e che godessero l'opinione pubblica e la stima dell'universale; bisognava circoscrivere entro stretti cancelli i loro poteri, perché non trasmodassero e non si lasciasse adito al benché minimo arbitrio; bisognava fissar norme certe di un procedimento celere, ma non precipitoso, giusto, ma non vincolato da pastoie, equo, ma non sottratto all'autorità de' giudicati della Commissione feudale, o delle leggi, di cui essi doveano essere gl'interpreti fedeli. Ciò venne fatto con leggi e i decreti del 23 ottobre 1809, 9 luglio 1810, 29 agosto 1811, 20 gennaio 1814, 12 dicembre 1816, e 30 giugno e 13 ottobre 1818, coi quali si prescrisse di eseguire quelle leggi con la massima giustizia, e ad un tempo con la massima celerità, nuda facti veritate inspecta, senza osservare altre forme, che quelle che il buon senso indicasse necessarie per tutelare i diritti delle parti, che doveano essere necessariamente citate nelle operazioni (1).

(1) Marini. Ivi.

Con decreto del 23 ottobre 1809 furono nominati cinque Commessarii detti ripartitori, il Consigliere di Stato Giampaolo, i Relatori Giuseppe De Thomasy, Giuseppe Poerio, Girolamo Dumas, ed il Direttore Biagio Zurlo. Costoro accettarono pienamente, a norma dei loro giudizii, le massime ritenute dalla Commissione feudale, di doversi, cioè, presumere usurpato in danno del demanio comunale tutto quel territorio che non si trovasse compreso nel titolo d'infeudazione; di doversi considerare come libera ogni terra posseduta dai privati, o dai comuni, finché non si fosse dal feudatario giustificata una servitù costituita con pubblici istrumenti; di doversi consolidare la proprietà delle erbe a quella della semina, compensando lex feudatario mediante un canone redimibile, ove da titoli di concessione apparisse d'aver egli riserbato il pascolo in suo favore, di doversi considerare come inamovibili quei coloni che per un decennio avessero coltivate le terre feudali, ecclesiastiche, o comunali, e come assoluti proprietarii delle terre coloniche sulle quali se gli è accordata tutta la pienezza del dominio e della proprietà, senza poter esser tenuti giammai ad una doppia prestazione.

Allo scopo di dare una regola per la facile divisione dei demanii e provvedere all'uniformità dell'esecuzione, con decreto 10 marzo 1810, furono pòrte delle istruzioni, le quali mostravano il modo da tenere, e nello scioglimento di ogni promiscuità; e nella separazione in massa delle terre demaniali non promiscue fra i Comuni ed i padroni di essi; e nella suddivisione della parte dei comuni fra i cittadini.

Onde, la legge del 1 settembre 1806, il decreto dell'8 giugno 1807, e queste istruzioni fissano le norme per le divisioni dei demanii, e per gli usi civici che contenevano.

Le principali di esse possono ridursi alle seguenti. 

I baroni aveano spesso usurpato i demanii universali, costituendovi delle difese. In tal caso, si dava luogo al comune di ripigliarne il possesso puramente e semplicemente.

Quanto ai demanii controversi, si divideano secondo il possesso attuale.

Gli usi civici dei comuni sui demanii degli ex baroni e delle chiese, si che si riguardassero come riserve più o meno estese del dominio, che le popolazioni rappresentavano sulle terre; si come riserve apposte dal concedente per conservare alle popolazioni stesse il mezzo di sussistere, si ridussero a tre classi:

  • 1. di usi civici essenziali che riguardano lo stretto uso personale, necessario al mantenimento dei cittadini;
  • 2. di usi civici utili, che comprendono oltre l'uso necessario personale, una parte eziandio d'industria;
  • 3. di usi civici dominicali, che contengono partecipazione ai frutti e al dominio del feudo.

Alla prima classe appartengono il pascere, l'acquare, il pernottare, il coltivare con una corrisposta al padrone; il legnare per lo stretto uso del fuoco e degli strumenti rurali, il cavar pietre per edifizii, o fossili di prima necessità, l'occupare suoli per abitazioni.

Alla seconda appartengono, oltre gli usi suddetti, anche gli altri di utilità, come legnare indistintamente, raccorre ghiande cadute, o castagne, pascerle per uso proprio col padrone, sia in tutto, sia in parte del demanio, scuoterne anche i frutti pendenti, immettervi animali a soccio, cuocer calce per mercimonio, esser preferito ai compratori stranieri nella vendita o consumo dei frutti del demanio.

Alla terza classe appartengono il far piante ortalizie, senza prestazioni, seminare grano per uso proprio, o marzatici indistintamente senza corrisposta, o con una cosi tenue, che mostri di essere una semplice ricognizione della signoria feudale, partecipare al diritto di fida e diffida, dove questa esisteva, e dell'utilità dei terraggi o delle coverte dei frutti che si vendono, fissare in ogni anno la corrisposta che i cittadini debbono pagare al padrone diretto per le ghiande, castagne, e simili.

Ad evitare arbitrii ed incertezze nell'applicazione fu ordinato, che il minimum del compenso degli usi civici essenziali, o che si esercitino tutti, o che se ne eserciti una parte qualunque, sia il quarto di tutto il demanio.

Secondo la varietà dei casi e delle circostanze, da tenersi presenti dai commessarii può essere di un terzo, e sino della metà.

Il minimum del compenso degli usi appartenenti alla seconda e terza classe, o che sieno esercitati tutti, o che se ne eserciti una parte qualunque, è la metà del demanio, e secondo le circostanze dei casi, da vedersi dai commessarii, può crescere a due terzi e sino a tre quarti del medesimo, in beneficio del comune.

I decurionati formavano lo stato di tutte le terre comunali, si demanii aperti agli usi dei cittadini, e si difese, e li divideano in due classi, in quelle atte a coltura, e in quelle boscose, lamose, o troppo erte. Le prime si dividevano. Le seconde si descrivevano minutamente, e se non si credevano capaci di privato dominio, eran riserbate al demanio.

La divisione avea luogo fra tutti i cittadini abitanti di ogni età e sesso, assenti o presenti, e l'assegno si determinava per sorte. Il concessionario diveniva libero possessore della sua quota, e non era tenuto, che alla corrisponsione di un annuo canone, affrancabile alla ragione del cinque per cento.

Gli usi civici formano parte del jus civitatis del cittadino; e il jus civitatis, perché inerente all'essere civile di lui non può essere distrutto, senza compenso, neanche dal re, il quale è tenuto solo a conservarlo e regolarlo. Mal si appone, quindi il Sig . Lomonaco (1), quando manifestandosi contrario al compenso dato ai cittadini per gli usi civici, afferma, che tal commutazione di mere tolleranze in dritti veri e reali di proprietà, se valse come spediente di pubblica e privata economia al partito signoreggiante dei borghesi, era secondo i principi di dritto un'apertissima ingiustizia, poiché si dava corpo e sangue alla larva det PRECARIO; e si tramutavano in diritti veri e palpitanti le benevolenze e le cortesie baronali verso gli uomini o sia terrazzani dei loro feudi. Errore gravissimo, che dee tanto più mettere in pensiero, in quanto viene da uno dei migliori cultori degli studi storico-legali; e fa maraviglia, come egli cosi dotto del diritto patrio, e cosi tenace alle sue tradizioni, siasi potuto contrapporre a ciò che è proclamato non pure dalla ragione e dalla storia, ma eziandio dalla dottrina di tutti i nostri giureconsulti.

Gli atti facoltativi e di semplice tolleranza non possono servire di fondamento all'acquisto del possesso legittimo, perché essi esprimono un possesso attribuito altrui gratuitamente dal vero proprietario, affinché ne usasse, e lo restituisse a qualunque richiesta. 

Se tali dovessero considerarsi gli usi civici, più che stolta, ingiusta dovria tenersi quella serie seguita di leggi, che vietavano ai baroni le chiusure conosciute sotto il nome di difese, e che erano sostenute dalle decisioni di tutti i tribunali, sebbene di continuo e sempre nuovamente violate.

(1) Loc. Cit.

Aboliti i Commessarii ripartitori il 1816 siffatta divisione fu commessa, prima agl'Intendenti delle province, poi ai Consiglieri provinciali, e poi con decreto 1 settembre 1819 di nuovo agl'Intendenti. E benché tutti si fossero adoperati a più loro potere a menarla innanzi, pure non fu compiuta. Le difficoltà e spesso l'oscurità delle controversie impedirono la speditezza desiderata, e l'idea della quotizzazione dei demanii, rimasta presso di noi tradizionale, si è riprodotta sempre in ogni pubblico commovimento, come un pretesto per gravi disordini popolari contro la stessa proprietà privata.

Onde con decreto luogotenenziale del 1 gennaio 1861 fu mestieri istituire di bel nuovo i Commessarii, ai quali si diè le attribuzioni conferite agl'Intendenti con gli articoli 176, 177, 186 della legge 12 dicembre 1816, e durarono in uffizio tutto il 1861: termine improrogabile, che il governo avea imposto al compimento di operazione si annosa e difficile; e che per questo passò senza alcun utile.

Nè ora, che le facoltà e le attribuzioni dei Commessarii sono commesse ai Prefetti (1), dopo venti anni, si può dire di esser giunti alla meta. Sono moltissimi i comuni di queste meridionali province, dove i demanii si serbano ancora, come erano, indivisi e con gli usi civici. E ciò con quanto danno dell'agricoltura e della ricchezza pubblica, non è chi nol vegga. Nè vale opporre, che la parziale suddivisione, già fattane, non ha dato sotto l'aspetto economico, quel pro che si sperava; perché questo è accaduto per deficienza d'istituti di credito, che avessero potuto offrire capitali ai piccoli agricoltori. Anzi è noto, come in principio, appunto per la miseria, tale suddivisione non era ricercata dai particolari cittadini (2), e sovente avveniva che i comuni, poco conoscendo i loro veri interessi, offrivano di convertire in canone gli usi civici, che vantavano sui fondi (3); e che, come non rado occorreva le quote essere abbandonate, cosi bisognò vietare, che per dieci anni esse potessero vendersi, alienarsi, o in altro modo distrarsi.

(1) Decreto 16 marzo 1862, e legge 20 marzo 1865, allegato C, articolo 16.
(2) Ministeriale 5 ottobre 1818.
(3) Ministeriale 26 ottobre 1811.

E al proposito vo' notare, che, mentre in Francia a stento, e con tre leggi (13 aprile 1791, 28 agosto 1792, 10 giugno 1793,) si concedea ai comuni appena le sole terre incolte; qui, sempre fedeli ai principii giuridici esistenti ab antico fra noi, si volea far proprietari i cittadini eziandio loro malgrado, perché altrimenti eglino non avrebbero avuto la pienezza dei loro diritti.

Sentite le parole del Ministro Zurlo riguardo a quest'ultima disposizione: Se delle cause particolari o momentanee si oppongono a queste vedute salutari bisogna occuparsi a farle cessare, ma non debbono in verun caso esser dirette a far mancare il più importante oggetto della legge... conviene portare la più grande attenzione sulle quote abbandonate. Esse, come tutti i demanii indivisi debbonsi considerare come un deposito destinato per coloro che nulla posseggono, ed ai quali lo Stato offre dei mezzi da divenire proprietarii, e cittadini attaccati al loro paese per la porzione di suolo che vi posseggono.

E semprecché le quote restavano abbandonate, erano rimesse in massa per concedersi ai cittadini non proprietari e industriosi e buoni ad apprezzare il valore della proprietà e trarne i maggiori vantaggi (1).

Vantaggi che crescono col crescere degli istituti di credito, e col crescere dei mezzi atti a fecondare le forze vitali delle terre. Ma svanirà la piccola industria degli animali, alimentata appunto dall'uso civico del pascolo? Ma sarà tolto il fuoco ai bisognosi, alimentato appunto dall'uso civico del legnare? Niente affatto, perché e all'uno e all'altro si può provvedere in mille nuovi modi. E posto anche che qualcosa sia da soffrire, ella sarà sempre insensibilissima verso il bene recato dalla ripartizione dei demani e dall'abolizione degli usi civici.

(1) Ministeriale 26 ottobre 1812