САРО ХІ. Natura giuridica degli USI CIVICI - Azioni - Reintegra – Diritti D'USO nelle altre contrade d'Italia e d'Europa

SOMMARIO - A quale categoria di diritti appartengano gli usi civici - Azioni con cui essi sieno perseguitati in giudizio - Reintegra amministrativa - Sua materia, sue norme, sua definizione, suoi estremi - Sua abolizione e restituzione - Diritti d'uso in Ispagna e in Francia, e nelle altre contrade d'Italia - Leggi relative a questi ultimi - Lor differenza dagli usi civici - Desiderii.

Or qual'è la natura giuridica degli usi civici? Sono essi diritti personali, reali, o misti? Abbiamo già detto innanzi, come queste cansuetudini di godimenti formarono parte del jus civitatis dell'abitante del comune o villaggio, e costituirono un certo jus servitutis sul demanio feudale; anzi furono a dirittura partecipazione dei cittadini al godimento di questo, e partecipazione di tale carattere e importanza, da costituire un vero jus in re. Di qui segue dovere i medesimi stare fra i diritti reali. Ciò ne sembra di tanta chiarezza, da non creder necessario allargarci in altre parole. Più difficile teniamo il dire con quali azioni essi vogliano essere perseguitati in giudizio. Con le reali, di sicuro; ma più propriamente?

Gli usi civici spesso posano sovra titoli, ma più spesso, anzi d'ordinario, posano sul possesso. Quindi le azioni, che loro meglio si addicono, sono le possessorie. Ma se i demanii, appunto perché demanii, e destinati però essenzialmente all'uso pubblico dei cittadini, sono inalienabili, ed imprescrittibili, come possono soffrire tali azioni? Dove sarebbe l'unde vi et clam dell'interdetto romano; dove il possesso annale delle leggi odierne? Eppure l'azione possessoria c'è. Ha un carattere sui generis, ma c'è. Un po' di spiega, e ci saremo intesi pienamente.

Chi non abbia gittato il libro in un canto, perché preso dalla noia, ma ci abbia tenuto dietro sin qui, avrà veduto, come l'avidità dei baroni in danno dei loro vassalli era senza misura, e come continue e fuori ogni limite erano le loro usurpazioni. Dopo la legge del 2 agosto 1806, la feudalità fu abolita di diritto, ma non di fatto. Le istituzioni che contano molti secoli di vita, che han messe profonde radici, e han ligati a sè molti e vivi interessi, anche quando vi sia stato un lungo periodo di preparamento non possono finire ad un tratto per virtù della legge o delle armi: l'abbiam già detto altrove. L'urto e la forza dei barbari non valse a gittar mai giù il diritto dei Romani. Cadute sotto la nuova e maggiore forza, esse tentano ognora di sollevarsi, e finché non dispariscano del tutto si lasciano dietro uno strascico, che le ricorderà per un pezzo. Molte leggi doverono seguire a quella del 1806, per reprimere quegli abusi, che repressi, sempre nuovamente sorgevano sotto altro colore e sotto altro nome. Chi ama conoscerle non ha, che ad aprire o i Bollettini, o una delle Raccolte delle leggi e decreti sull'abolizione della feudalità e divisione de' demanii fatte dal De Rensis, Savoia, od altri. Coloro dei baroni, che al titolo univano l'agiatezza avita non perderono né di splendore, nè di potenza; coloro, cui non rimase che soltanto il titolo, furono surrogati dai nuovi arricchiti e sempre più avidi di arricchire. E poi si sa: il popolo è immobile, come l'acqua del mare a tanti metri sotto del suo livello; è saldo nelle sue consuetudini; profitta poco e lentamente delle riforme di libertà fatte a suo pro; e ora in un modo, ora in un altro, soffre sempre l'abuso, la forza, la prepotenza di chi, per estollersi al di sopra di esso, ei considera quale suo padrone. Esso è ignorante, e tale, è sempre servo o di uno, o di pochi, o di molti. Guardiamo la realtà: guardiamo Sicilia, Calabrie, Basilicata, Puglie, Abruzzi, e a centinaia vedremo gli uomini tristi, che ne' lor comuni fanno e disfanno quel che meglio lor talenta in danno dei comuni stessi e del popolo; al quale, come ai fanciulli, bisogna fare il bene a forza.

Fu perciò, che il legislatore napoletano, sempre conforme al diritto patrio, con la legge sull'Amministrazione Civile del 12 dicembre 1816 non pure confermò il principio, costantemente ritenuto presso di noi, della inalienabilità e imprescrittibilità dei demanii, ma eziandio dichiarò abusiva e improduttiva di diritti od effetti ogni occupazione ed ogni alienazione illegittima a qualunque epoca rimontasse; e deputò gl'Intendenti, ora Prefetti, a decidere delle controversie, che all'uopo sarebbero sorte.

L'azione, per riacquistare il perduto possesso, fu detta reintegra amministrativa. Essa non può stare fra le petitorie del diritto comune, perché dalle leggi sulla divisione de' demanii e dalle istruzioni relative, è manifesta la precisa volontà del legislatore, che le operazioni fossero definite con la maggior sollecitudine possibile. Ad ottenere questo scopo fu ordinato di aver presente il solo stato possessivo, cioè il fatto del possesso, escluse le indagini petitoriali sulla proprietà, ed il diritto a possedere, che avrebbero mandato le cose ben per le lunghe; e il magistrato amministrativo, cui è dato conoscere tali controversie, dee restringere le sue indagini a questo solo fatto del possesso, e mercè la ispezione dei luoghi e dei titoli spingerle insino al punto, da rinvenire la pruova non equivoca di un demanio già costituito fra dati confini, e tra questi certamente posseduto. Incerto il fatto del possesso, dovrebbe versarsi nel diritto a possedere; ma di ciò si disputa nel giudizio della proprietà, che non appartiene alla sua competenza. Non può stare fra le possessorie perché, quantunque in essa non si accerti, che il solo fatto del possesso, pure non è, per la sua ammissibilità, soggetta alle ordinarie condizioni, che debba, cioè, intentarsi fra l'anno dal turbato possesso, e da colui che abbia per un anno, almeno, pacificamente posseduto: la prima è esclusa dal testo della legge; e la seconda non sarebbe compatibile con la natura dei fondi che formano la materia della reintegra, essendo questi i demanii aperti agli usi civici dei cittadini, i quali a costituirsi han bisogno non di uno, ma di molti anni. Oltre di che, lo stesso procedimento, solito a seguirsi dalle autorità chiamate ad ordinare una reintegra, non offre la rigorosa forma di un giudizio: tolta la necessità che hanno di sentire o citare in un modo qualsiasi gl'interessati, tutto il resto è lasciato al loro prudente arbitrio. Ond'è chiaro, che col nome di reintegra va inteso un provvedimento amministrativo, che per la forma del procedere ha un carattere affatto sommario; e pel fine che si propone, un possessorio che può dirsi benissimo sui generis, dacchè se non soggiace a tutte le condizioni delle ordinarie azioni possessorie, non può negarsi, che il possesso interdittale ne sia la materia, non tendendo alla fin fine, che a far restituire il perduto possesso di un demanio. E come il magistrato che lo emana qual delegato della suprema potestà, procede in una forma che sente anzi di amministrativo, che di giudiziario, cosi può la reintegra definirsi, una misura amministrativa di ordine pubblico, intesa a mantenere in via tutta possessoriale la integrità dei demanii destinati a sostegno delle popolazioni.

L'idea di un possessorio sui generis, essenzialmente distinto dalle indagini petitoriali sul diritto a possedere, mentre ha origine dal bisogno di frenare con tutta speditezza, la violenza e lo spoglio in danno dei comuni e delle popolazioni, è rifermata dal rescritto del 19 febbraio 1826, che, a mo' di norma, dichiara che l'attribuzione delegata con l'articolo 177 della legge 12 dicembre 1816 all'autorità amministrativa deve riguardarsi limitata all'esame e verifica del fatto dell'occupazione, e a reintegrare il comune nel possesso del fondo occupato, qualora vi sia luogo; salvo il giudizio plenario di petitorio e di rivendicazione di proprietà innanzi all'autorità competente. Un esame, quindi, limitato al solo fatto dell'occupazione, ed interamente distinto dalle plenarie investigazioni di un giudizio petitorio, è tutto lo scopo della istruzione che può utilmente disporsi in una reintegra amministrativa; i cui estremi sono la natura demaniale e privilegiata dei fondi, e un possesso di qualunque epoca, ma tale, che mentre da un lato certamente dimostri la costituzione ed i confini del demanio, dall'altro offra l'esercizio non di un diritto qualsivoglia, sibbene degli usi civici, cioè degli usi che soddisfano ai primi ed essenziali bisogni delle popolazioni (1).

In omaggio ed a guarentigia del diritto di proprietà, con l'articolo 49 delle Istruzioni pei Commissarii Ripartitori del 3 luglio 1861, la reintegra fu abolita. Però, siccome si vide, che senza questa forma eccezionale e rapida le leggi per la divisione dei demanii, fatte esclusivamente pel popolo, sarebbero andate a vuoto, cosi con decreto 6 dicembre 1863 fu rimessa in vigore; e fu un gran bene.

Da tutto ciò è, dunque, manifesto, che, le azioni possessorie, le quali talora vediamo agitarsi innanzi alle RR. Preture del Regno, riguardano non gli usi civici propriamente, ma i cosi detti, diritti d'uso, di cui è tanta specie nelle diverse contrade d'Europa e d’Italia.

A cagion d'esempio ricordiamo i seguenti.

In Ispagna vige da secoli quel che dicono privilegio della mesta, in virtù del quale i pastori dei numerosi armenti signorili o prelatizi han facoltà di scendere, nella mala stagione, dai monti della Cantabria e della Castiglia e far pascolare i loro animali sui terreni che incontrano lungo il loro passaggio.

In Francia è la vana pastorizia (vaine påture), il diritto di pascolo (parcours), e il diritto delle seconde erbe. La prima è il diritto reciproco che hanno gli abitanti di uno stesso comune di mandare a pascere il loro bestiame su tutto il territorio dopo la raccolta delle messi; il secondo, è la pastorizia esercitata reciprocamente dagli abitanti di due comuni limitrofi; il terzo, è il diritto attribuito agli abitanti di alcun territorio di andare a tagliar le erbe maggesi, a preferenza dei proprietarii.

(1) Parere dell'abolita G. Corte dei Conti in Napoli, approvato con decreto sovrano del marzo 1864.

In Sardegna è la vidazzone, ossia una porzione di terra non coltivata per un anno. Dividesi il territorio di un villaggio in due o tre parti, ed annualmente una di queste parti è destinata alla coltura, e le altre restano scrupolosamente abbandonate alla pastorizia. V'è ancora l'ademprivio, che comprende tutti i diritti d'uso esercitati, specie nei grandi boschi e selve dello Stato, dai comuni, o dalle sezioni, o dagli uomini di determinati luoghi.

Nelle province venete sono, tra gli altri, il pensionatico e il vagantivo. Il primo consiste nel diritto di pascolare su terreni incolti, di cui abbondano; il secondo in quello di vagare liberamente per le valli e paludi, esercitarvi la pesca e la caccia, e raccogliere canne ed altri prodotti palustri, conosciuti sotto il nome di corato, pavera, giaone, ceresina ecc. ecc.

A dir breve, in quasi tutte le province d'Italia esistono tali diritti d'uso, e specie nelle parti montuose e nelle vallive. In alcuni luoghi sono provvidenziali, e fanno approfittare di molti doni che la natura offre, e che per particolari circostanze andrebbero perduti; ma nella massima parte, sono di grave ed inestimabile pregiudizio alla coltivazione del suolo.

La loro origine rimonta o ai barbari, i quali li lasciarono in compenso ai vinti, già proprietarii delle foreste; o ai feudi. Quantunque diversi, secondo i luoghi, pure lor condizione ingenita ed essenziale è che l'utente limiti l'esercizio del proprio diritto alla soddisfazione del proprio bisogno.

Essi van posti fra i diritti misti, e, in genere, devono ritenersi, come un accessorio dell'insieme di altre proprietà, e goduti dagli uomini ut universitas, a simiglianza dell'esempio portoci dal giureconsulto Scevola in queste parole: Plures ex municipibus, qui diversa praedia possidebant, saltum communem ut jus compascendi haberent,mercati sunt; itaque etiam a successoribus eorum est observatum. Sed nonnulli ex iis, qui hoc jus habebant, praedia sua illa propria venumdederunt. Quaero an venditione etiam jus illud secutum sit praedia cum ejus voluntates venditoris fuerint ut et hoc alienari? Si rispose: Id observandum quod actum inier contrahentes esset. Sed si voluntas contrahentium manifesta non sit, et hoc jus ad emptores transiret.

Comunque sia pero, essi vincolano la proprietà, impediscono l'agricoltura e la selvicoltura, e fa mestieri, che spariscano al più presto possibile. L'opera è iniziata, e sotto larghi principii economici: non deve, che menarsi a termine. Con legge del 10 aprile 1854 fu provveduto all'abolizione ed affrancamento degli ademprivi, escorporando, come in via di divisione, una parte della proprietà dei boschi e delle selve, ed assegnandola libera in compenso della rinuncia al resto, a coloro che aveano il diritto dell'ademprivio. Con ordinanza imperiale del 15 luglio 1856 fu proibito il pensionatico, e dichiarato perento a fronte di compenso ai proprietarii. Con risoluzione imperiale del 22 dicembre, e poi con legge del governo italiano, fu provveduto al vagantivo, il quale fu abolito assolutamente, ed i proprietarii soggetti a tale onere, obbligati ad una certa tassa, verso i comuni, i cui abitanti ne hanno l' esercizio (1).

Ma grande è la differenza che intercede fra queste leggi, e quelle per la divisione dei demanii che abbiam vedute nel precedente capitolo. Nelle prime il compenso è accordato quasi in via di transazione, nelle seconde è invece dato perchè dovuto. Basterebbe solo ciò a rendere saldissima l'idea, che gli usi civici e la loro teoria è cosa del tutto nostra, senza aver nulla che fare coi diritti d'uso delle altre contrade d' Europa e d'Italia. Entrambi niente altro han di comune, se non d'impacciare l' agricoltura, ed impedire, che la terra fosse la maggiore fonte di ricchezze. È perciò, che noi facciamo voti, perché il governo del Re, illuminato da una saggia economia, dia opera all'alienazione dei beni di tutti i corpi morali, indistintamente. Sterminati sono i terreni dei comuni, delle opere pie, delle fabbricerie, e di tutti gli altri enti non colpiti dalle odierne leggi di soppressione. Unità di materia, dunque, unità di scopo, unità di azione. Col rendere queste terre proprietà dei privati, avremo diminuito il numero dei proletarii, cresciuto quello dei piccoli proprietarii, adempiuto, al possibile, il dovere di far partecipare al godimento della terra e dei suoi prodotti un più gran numero di uomini, dovere imposto da natura, e fine precipuo dell' economia rurale; aumentata la prosperità nazionale, perché non son certo prosperi quei paesi in cui uno scarso numero di proprietarii possiede immensi terreni, coltivati da migliaia di schiavi; offerta infine allo Stato una ferma guarentigia. Se la proprietà ed il lavoro sono sempre stati salda guarentigia all'ordine interno ed esterno; oggi sono saldissima anche contro le sconsigliate teorie dell'avvenire.

(1) Rabbeno – Le selve e le inondazioni.